Medicina: le dottoresse superano i dottori. Le donne medico tra i 25 e i 55 anni sono diventate la maggioranza da qualche anno.
Resta l’imbuto delle scuole di specializzazione e, sebbene le maglie si stringano sia per gli uomini che per le donne che vi accedono per punteggio, le chirurghe sono ancora oggi la minoranza. Le donne preferiscono la strada clinica come pediatria, ginecologia e anestesiologia, psichiatria ed endocrinologia.
In sala operatoria il bisturi è maschio? Preconcetti e maschilismo stanno diminuendo negli ospedali sempre più ‘rosa’, ma le difficoltà delle chirurghe per lavorare e fare carriera, anche con i figli, è doppia rispetto ai colleghi di sesso opposto. Ripaga invece le dottoresse l’empatia che sentono con i pazienti e le pazienti. Ecco i loro racconti, raccolti in occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna che si festeggia l’8 marzo.
“Signorina, mi chiami il medico”;
“In sala operatoria: non c’è il dottore?”;
“Una donna è più portata per fare l’infermiera o la pediatra piuttosto che il chirurgo”;
“Mamma e sala operatoria? Mal si coniugano, pensaci bene”.
Questi i commenti più frequenti che le donne medico ricevono in ospedale.
“La carriera è preclusa, soprattutto se vuoi seguire anche la crescita dei tuoi figli”; “Sono arrivata ai vertici della mia carriera, ma ancora lotto tutti i giorni, sono in guerra col sesso forte per farmi valere”.
I virgolettati riassumono i commenti più comuni raccolti in questi giorni intervistando, in via riservata per motivi di privacy e tutela, diverse chirurghe plastiche, ricostruttive ed estetiche che operano negli ospedali italiani.
Alcune sono anche a capo di dipartimenti, tutte concordano su un aspetto: il bisturi al femminile è ambito meraviglioso e di grande soddisfazione ma il confronto con i colleghi uomini rende la carriera molto più difficile e faticosa.
Ripaga, per tutte le specialiste, la soddisfazione per l’empatia che una donna medico instaura con le pazienti, magari dopo un primo incontro in cui si sentono apostrofate con un ‘signorina’. Alla lunga però il rapporto di fiducia e vicinanza si salda.
Su un totale di 467.996 medici iscritti agli albi per provincia, 220.331 sono uomini e 183.690 donne, il resto (circa 67.000) sono odontoiatri (anche con doppia iscrizione). La rappresentanza maschile supera quella femminile, secondo i dati raccolti da CED-FNOMCeO per Mani sul Cuore al 2 marzo 2022.

Seppure il numero totale degli uomini medico ad oggi superi ancora le donne, si tratta soprattutto di dottori dai capelli bianchi perché nella fascia di età dai 25 ai 54 anni le cose cambiano e le dottoresse diventano la maggioranza.
Sul fronte delle specializzazioni, al 2019, le iscritte a chirurgia erano in media il 46%, mentre nelle altre aree più del 60%, secondo le stime CED-FNOMCeO. Le prime dieci specializzazioni al femminile al 2021, come risultano alla federazione dei Ordini dei medici, sono: in testa pediatria con 10.961 donne, seguono ginecologia ed ostetricia (6.510), anestesia (6.208), psichiatria (5.285), medicina interna (4.394), cardiologia (4.041), radiodiagnostica (3.405), neurologia (3.318), endocrinologia (3.151) e odontostomatologia (3.089).
Le specialiste in chirurgia plastica e ricostruttiva sono in fondo alla lista e la Fnomceo ne stima, probabilmente per difetto perché la federazione non riceve tutte le informazioni necessarie dai medici – avvisa la Fnomceo – , quattrocentosettantatre.
Cosa ci hanno raccontato le dottoresse?
Sono arrivata ai vertici del mio ospedale e ne sono fiera ma le pari opportunità non sono realistiche. Anche ai vertici infatti è una guerra quotidiana per farsi valere e posso dire di avere fatto il doppio della fatica nella mia carriera, rispetto ai pari grado di sesso maschile. Ancora oggi è una battaglia per non essere prevaricata dagli uomini.
M.M.
“Le pari opportunità non ci sono, – confida B.C. chirurga ricostruttrice in un grande ospedale di Roma, – È una grande sconfitta in termini di carriera per le donne che non vengono valutate in termini meritocratici e per le quali la maternità è la più grande difficoltà da affrontare, fatto salvo il periodo di assenza tutelata per l’allattamento. Dopo, alla lunga, vieni penalizzata se vuoi comunque crescere i tuoi figli. Ai vertici, in tal senso, non ci sarà mai posto per le dottoresse, madri soprattutto. Io però sono fiera di essere donna, madre e chirurga plastica perché la soddisfazione del bellissimo rapporto che instauro con le pazienti mi ripaga e essere madre mi aiuta molto in termini di empatia nei confronti delle donne malate di tumore al seno di cui mi occupo. Non arriverò mai ai vertici ma sono vicina alle pazienti e adoro il mio lavoro”.
“Ancora oggi che ho anche una certa età, mi capita spetto di essere apostrofata nei corridoi dell’ospedale o in reparto con un ‘signorina, dove è il medico?’. Oggi ci sorrido e basta poco per conquistare un bel rapporto con le pazienti”, commenta F.G. chirurga plastica di Milano.
“Signorina, mi aiuta ad allacciare le scarpe?” mi chiedono alle volte scambiandomi per una infermiera riferisce D.T., senologa di un grande nosocomio della provincia di Napoli.
“Sono arrivata ai vertici del mio ospedale e ne sono fiera ma le pari opportunità non sono realistiche. Anche ai vertici infatti è una guerra quotidiana per farsi valere e posso dire di avere fatto il doppio della fatica nella mia carriera, rispetto ai pari grado di sesso maschile. Ancora oggi è una battaglia per non essere prevaricata dagli uomini” , precisa M.M. che lavora in un ospedale del Centro Italia.
“La prevaricazione, a mio avviso, sul lavoro non è una questione di differenza di genere. Tra donne neanche c’è una grande collaborazione ma un più comune e feroce contrapposizione. Non sempre, ma spesso”, sottolinea invece B.C. chirurga plastica di una breast unit nella provincia di Roma che sottolinea come invece dalle pazienti arrivino continui incoraggiamenti e attestati di stima.
Le donne hanno bisogno delle altre donne e del supporto dei colleghi uomini per lavorare al meglio e in equipe e i molti racconti e le confidenze raccolte per questo approfondimento ci confermano chiaramente la forte tenacia del cosiddetto ‘sesso debole’ nella scelta della propria professione al servizio della salute.
La Giornata internazionale dei diritti della donna ci ricorda la necessità di proseguire sulla strada della effettiva parità di genere anche negli ospedali italiani, obiettivo da raggiungere entro il 2030, ricorda anche l’ONU con la campagna ‘Génération Égalité d’ONU Femmes‘.
