Riavere il proprio seno dopo la mastectomia o restare ‘piatte’? Paure irrazionali, poca conoscenza o sacrosante ragioni personali possono condurre alla rinuncia. Ecco le scelte del movimento ‘Going Flat’ e l’influenza dei chirurghi negli Stati Uniti.
Si chiama Going Flat ed è un movimento nato negli Stati Uniti. Letteralmente significa “diventare piatte” e allude alla decisione di non ricostruire il seno dopo l’asportazione di un tumore. Ovviamente quando l’intervento chirurgico non è di tipo conservativo, ma demolitivo. Situazione in cui, nei casi più gravi, si asportano entrambe le mammelle.
La donna a questo punto deve decidere: far ricostruire oppure no le mammelle? Avere di nuovo il proprio seno oppure accettare il cambiamento e rinunciare a quella parte di sé che fino a quel momento rientrava nella propria percezione corporea?
Una scelta difficile che mette in campo una serie di pensieri che vanno al di là della stessa malattia. Come, per esempio, l’idea di femminilità ma anche il timore che una operazione in più, come quella di ricostruzione, possa incidere negativamente sulla propria salute.
“Non è il seno che ci rende donne”, recita perciò lo slogan del movimento americano che invoca il diritto a rimanere piatte dopo la mastectomia.
Spesso, sostengono le adepte del Going Flat, le donne non vengono messe nella condizione di dare un consenso realmente informato. E alcune associazioni, come la Breastfree.org o Flatand Fabulous, puntano il dito contro i chirurghi – il più delle volte maschi (*) – che molto spesso non discutono con le pazienti tutte le possibilità, inclusa quella di non ricostruire il seno, arrivando a decidere al loro posto.
– Scopri l’intervista a Roy De Vita sul trend going flat.
Decidono i chirurghi al posto delle pazienti? Cosa pensano davvero le donne dell’operazione di ricostruzione del seno e quanto ne sanno?
Secondo uno studio pubblicato nel 2014 sul Journal of Clinical Oncology, su oltre 20 mila donne americane sottoposte a mastectomia tra il 1998 e il 2007, circa la metà di chi ha subito una mastectomia singola e il 25% di coloro che erano state sottoposte alla mastectomia bilaterale (in cui si rimuovono entrambe le mammelle), ha scelto di rimanere piatta.
Un’altra ricerca, pubblicata pochi mesi fa su Annals of Surgical Oncology, ha voluto proprio indagare se coloro che decidono di diventare flat siano soddisfatte della loro scelta. Il sondaggio è stato condotto su 931 donne e il 74% ha affermato di esserlo. Nel 22% dei casi, però, l’opzione di rimanere piatta non era stata neanche proposta e discussa dal chirurgo.
Ma quali sono gli elementi che hanno portato le donne a fare questa scelta?
L’indagine elenca alcuni fattori come la paura delle complicanze della ricostruzione mammaria, il rifiuto di avere ‘un corpo estraneo’, l’ansia della possibile ‘rottura silenziosa’ della protesi e dell’eventuale sviluppo di infezioni. Oltre alla volontà di ‘ridurre al minimo il numero di interventi chirurgici’, come per esempio la necessità di dover tornare sotto i ferri dopo un certo periodo di tempo per sostituire le protesi.
Non manca chi ha rinunciato a riavere il proprio seno per fattori meno angoscianti e più squisitamente personali e che il movimento americano rivendica come ‘per sentirmi più comoda’ (così hanno risposto diverse atlete). In altri casi le donne non hanno voluto rilevare le ragioni della rinuncia rivendicando il diritto a farlo senza doversi vergognare di avere un seno piatto.
Fonti:
(*) Il commento è delle associazioni sul tema Going Flat e si riferisce alla situazione statunitense dove gli specialisti in chirurgia plastica uomini sono l’84%, le donne il 16%: https://www.aamc.org/data-reports/workforce/interactive-data/active-physicians-sex-and-specialty-2017
Gli studi citati nel presente articolo sono consultabili direttamente attraverso i link riportati nel testo.
Barbara Amadori, insegnante di sostegno, laureata all’Accademia di Belle Arti di Urbino e da sempre appassionata di arte contemporanea, nel 2019 ha ricevuto la diagnosi di tumore al seno. Durante il percorso di cura ha sentito il bisogno di comunicare attraverso il linguaggio dell’arte la malattia. L’abbiamo intervistata per farci raccontare come è nata l’idea, e come è stata realizzata, della mostra ‘Arte come cura’ inaugurata a Città di Castello (Umbria) il marzo scorso ma che tornerà dal 7 al 29 maggio al Museo Casa Cajani di Gualdo Tadino. La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione con l’Aacc – Associazione Altotevere contro il cancro. Nella photo-gallery alcune opere delle 15 artiste che hanno partecipato.
Non solo l’affollamento di foto del ‘prima e del dopo’ intervento sui social. Beauty advisor, skin-influencer, decessi, denunce e filler iniettati online dal bagno di casa complicano il quadro. La fotografia di come la chirurgia estetica corre sui social in Italia e di quanto ci sia bisogno di una informazione più puntuale è delineata in occasione della tavola rotonda ‘L’autorevolezza social: like e curriculum a confronto’ mirata all’informazione come servizio che va oltre la pubblicità, in corso oggi a Sorrento in occasione del 9° congresso nazionale di Aicpe, Associazione italiana chirurgia plastica ed estetica. La tavola rotonda è a cura di ManiSulCuore.it
Una tavola rotonda a cura di Mani Sul Cuore nell’ambito del 9 Congresso AICPE, il 23 Aprile 2022 alle 14.30 a Sorrento, Hilton Sorrento Palace, Sala Plenaria Auditorium Sirene.
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