Ricostruzione mammaria per mastectomie conservative o totali: le tecniche operatorie migliori per ogni tipologia di seno, dal piccolo all’abbondante, con poco o con molto grasso. E i dispositivi mammari più indicati quando sia necessario proseguire le cure con la radioterapia. I nuovi traguardi della ricostruzione del seno dal recente Oncoplastic Breast Meeting svolto dal 16 al 18 dicembre a Milano. Ce li ha spiegati Maurizio Nava, specialista in chirurgia generale, plastica e ricostruttiva e presidente del congresso internazionale.
Scegliere insieme cosa fare, specialisti e paziente.
“Non esiste una tecnica adatta per tutte – spiega Maurizio Nava, – e la scelta del tipo di intervento dipende dalle caratteristiche del seno di ogni singola donna, oltre che dal tipo di tumore. Ancora prima, è fondamentale che la donna sia informata in modo chiaro e sia coinvolta nella decisione e nella pianificazione del tipo di intervento che oggi si può decidere e pianificare nel momento stesso in cui si ha la diagnosi di tumore. La paziente deve conoscere ed essere partecipe a tutto quello che poi accadrà in sala operatoria”.
“
La chirurgia ricostruttiva è parte integrante del trattamento chirurgico del seno
”
specialista in Chirurgia generale, plastica e ricostruttiva e presidente del Congresso Internazionale all’Oncoplastic Breast Meeting 2021
“Come emerso anche durante il congresso – sottolinea lo specialista, – la chirurgia ricostruttiva è parte integrante del trattamento chirurgico del seno. Questo significa che anche il chirurgo senologo non può non conoscere le diverse tecniche di ricostruzione del seno”.
Quale ricostruzione in caso di mastectomia conservativa?
È l’intervento tra i più comuni oggi, quello dell’asportazione del tumore preservando il più possibile parte del seno per conservare la cute e il complesso areola-capezzolo. Per valutare il tipo di intervento di ricostruzione mammaria più adatto gli specialisti si affidano alla mammografia digitale.

“Per capire cosa preservare va valutata l’anatomia della mammella e questo si può fare tramite una mammografia digitale (o tomosintesi) eseguita nel modo corretto, – precisa Maurizio Nava. – La ghiandola mammaria è, infatti, ricoperta da uno strato di grasso e dalla cute, ma è importante osservare quanto grasso sia presente tra la cute e la ghiandola perché è questo che influisce sulla scelta del tipo di intervento di ricostruzione. Per semplicità possiamo distinguere tre tipi di mammella: il tipo 1, quando lo spessore di grasso è minimo e quindi la ghiandola mammaria risulta molto vicino alla pelle; il tipo 2 quando abbiamo 1-2 centimetri di grasso, prima della cute, che proteggono in un certo senso la ghiandola mammaria e il tipo 3 quando, invece, lo strato di grasso presente è maggiore di 2 cm, per cui la ghiandola non è a contatto diretto con la cute ed è avvolta da uno strato molto spesso di grasso. Questo quadro ci chiarisce quale tipo di ricostruzione può essere fatta”.
Differenti tipi di ricostruzione in base anche alla grandezza del seno
“Se siamo in presenza di mammelle grandi e svuotate, che in termini tecnici vengono definite ptosiche, è necessario optare per un intervento chiamato ‘skin reducing mastectomy’ mirato a ridurre la cute in eccesso dopo la mastectomia e utilizzare una protesi permanente. Questa tecnica oggi non lascia più cicatrici di quelle di una mastoplastica riduttiva che si fa solo a scopo estetico”, – afferma lo specialista.
C’è poi la questione della radioterapia…
Perché è così importante sapere se la donna dovrà sottoporsi alla radioterapia dopo l’intervento? Cosa può succedere alle protesi e al seno ricostruito sotto l’influenza delle radiazioni terapeutiche?
“Abbiamo visto – spiega Nava – che con la radioterapia si può verificare la formazione di una fibrosi del muscolo pettorale, in pratica il muscolo tende ad irrigidirsi. Questo può compromettere il risultato estetico della ricostruzione e aumentare il rischio di contrazione capsulare intorno all’impianto e quindi anche di maggiore dolore per la donna”. La contrazione capsulare è ritenuta l’effetto collaterale tra i più comuni quando si usano le protesi mammarie ed è dovuta alla formazione di un film di cellule che si dispongono in una sorta di involucro intorno alla protesi, chiamato capsula. Precisa Nava: “Nella maggior parte dei casi la capsula rimane morbida, ma in una piccola percentuale (intorno al 10% in chirurgia ricostruttiva) può diventare dura e provocare dolore”.
Quali protesi migliori per scongiurare il rischio ‘contrattura capsulare’ in caso di radioterapia?
Spiega Maurizio Nava: “Va detto che oggi, quasi sempre, già al momento della diagnosi di tumore possiamo predire se la donna dovrà poi sottoporsi alla radioterapia oppure no. Questa preziosa informazione ci permette di fare delle scelte più accurate. Nei casi in cui si ritenga necessario prescrivere anche la radioterapia è preferibile utilizzare la tecnica di ricostruzione di tipo ‘pre-pettorale’, cioè posizionando la protesi davanti al muscolo pettorale. La tecnica risulta dare migliori risultati rispetto all’inserimento sotto muscolare. Il dispositivo inoltre può essere protetto anche con matrici innovative, di origine sintetica o biologica. Abbiamo osservato che, così facendo, c’è una accentuata riduzione del fenomeno di contrazione capsulare e si riesce a raggiungere anche un risultato estetico migliore. In ogni caso, dopo la radioterapia il risultato può sempre essere migliorato anche utilizzando il lipofilling. Non dobbiamo mai dimenticare – sottolinea, infatti, il medico – che il nostro obiettivo principale è ridurre al minimo i rischi e garantire il benessere della donna”.
Se serve la radioterapia, viene in aiuto l’espansore e le tecniche ibride
“L’espansore, inserito in posizione pre-pettorale, viene riempito al 90% e permette di non tenere la pelle in tensione e ridurre eventuali ‘traumi’ alla cute. Così la donna, effettuata la radioterapia, sarà sottoposta a cicli di lipofilling e, al termine, alla rimozione dell’espansore e all’inserimento della protesi permanente, – rassicura il chirurgo plastico. – Oggi sappiamo che utilizzando le protesi mammarie, con maglie sintetiche o biologiche, e il grasso con la tecnica di lipofilling, di fatto eseguiamo una ricostruzione ibrida, cioè fatta con materiali diversi che contribuiscono a ridurre le complicanze legate alle protesi e ottenere una mammella sempre più naturale. Il tessuto adiposo inserito fa, infatti, percepire alla donna un seno più caldo e più morbido, quindi più naturale. Questo tipo di ricostruzione è sempre consigliata anche in assenza di radioterapia ma in questo caso diventa obbligatoria”.
Tecniche miste per seni diversi, dall’abbondante al piccolo
Nella scelta del tipo di intervento da seguire va sempre considerata anche l’anatomia della mammella, cioè i tre tipi che abbiamo distinto sopra in base alla quantità di grasso.
Precisa Nava: “Il seno di tipo 3, in cui il grasso è abbondante, ci permette di usare sempre la tecnica pre-pettorale perché la cute è protetta dalla quantità di grasso già presente. Il tipo 2, in generale, richiede una tecnica chiamata “dual-plane”, cioè la protesi viene coperta nella parte superiore dal muscolo pettorale e nella parte inferiore da una specie di reggiseno interno fatto di maglie che possono essere sintetiche o biologiche. In questo caso, se la donna si deve sottoporre alla radioterapia, è possibile inserire la protesi, sempre ricoperta completamente di maglie, in posizione pre-pettorale”.
E se il grasso tra la cute e la ghiandola è minimo, qual è la soluzione migliore?

Ma cosa succede se la mammella è di tipo 1, cioè ha una ghiandola mammaria molto vicino alla pelle, con pochissimo grasso? “Questa – afferma il chirurgo – è la situazione più problematica. Se, infatti, inserissimo la protesi davanti al muscolo pettorale ci potrebbero essere serie complicanze, con il rischio aumentato di perdere la ricostruzione e quindi eseguire necessariamente più interventi per rimediare alla complicanza”.
Qual è quindi la soluzione?
“In linea generale, si utilizza la tecnica definita ‘two-stages’, perché l’intervento consiste in due fasi: in un primo momento – riferisce Nava – inseriamo sotto il muscolo pettorale una protesi a espansione, cioè non permanente. Dopo, utilizziamo il lipofilling per creare uno strato di grasso sufficiente in modo da poter rimuovere, in un secondo momento, l’espansore e inserire la protesi permanente. Questa tecnica permette di riportare lo spessore del grasso in proporzioni migliori”.
Gli step fondamentali per un ricostruzione golden standard?
“Ad oggi non ci sono studi clinici randomizzati che ci permettono di trarre conclusioni scientificamente valide sulle tecniche di ricostruzione – afferma Nava, – ma se volessimo riassumere i punti fondamentali, emersi anche durante quest’ultimo congresso, sono sicuramente quattro e includono un processo decisionale sulle tecniche operatorie condiviso con la paziente in anticipo, la selezione di una chirurgia ‘su misura’ perché ogni donna ha proprie caratteristiche ed esigenze e non esiste una tecnica adatta a tutte, la conoscenza delle diverse tecniche di ricostruzione e dei vari materiali disponibili da parte degli specialisti e, infine, organizzare un follow-up appropriato perché la donna, una volta operata, deve essere seguita e controllata nel tempo”.
