La conferma di un legame tra protesi mammarie e la possibilità di sviluppare una rara forma di tumore, il linfoma anaplastico a grandi cellule (Bia-Alcl), ha destato preoccupazione tra le donne che si sono sottoposte all’intervento chirurgico di mastoplastica additiva o di ricostruzione del seno.
Nonostante gli esperti e le autorità competenti abbiano ribadito che il rischio sia estremamente basso e manchino ancora dati certi sulla relazione, molte donne hanno interpellato i propri chirurghi chiedendo di rimuovere le protesi per evitare comunque il rischio, anche in totale assenza di sospetti e sintomi. Comprensibilmente le pazienti si sono sentite fragili e spaventate. E non sono mancati i chirurghi che hanno iniziato a proporre una sorta di ‘rimozione profilattica’ dei dispositivi già impiantati alle donne sane e senza alcun sospetto di linfoma, anche proponendo la sostituzione con altri dispositivi di differente tipo. Negli Stati Uniti sono perfino spuntate veri e propri dipartimenti o cliniche specializzate in ‘sostituzione e ripristino’ per le donne allarmate. Naturalmente tutto avviene a pagamento, oppure con degli sconti. Ce n’era bisogno? Che fare? Una nuova operazione chirurgica giustifica i timori?
Ecco le risposte.
Protesi mammarie e linfoma: il rischio è molto basso
Dopo un’analisi complessiva di 10 anni di indagini, l’opinione finale dello Scheer (Scientific Committee on Health, Environmental and Emerging Risks) della Commissione Europea ha riconosciuto la presenza di un “moderato livello di evidenza scientifica” a sostegno di un legame causale tra le protesi mammarie, in particolare dei dispositivi testurizzati (cioè quelli con superficie ruvida), e l’Alcl. Tuttavia, nello stesso documento è esplicitato che l’incidenza del Bia-Alcl è molto bassa. A quanto risulta all’Fda, a livello mondiale si contano meno di 1.200 casi su 10-35 milioni di pazienti impiantati, e in Italia, dal 2010 fino a novembre 2022, sono stati notificati al Ministero della Salute 92 casi su circa 55mila protesi mammarie vendute ogni anno.

Protesi seno ‘testurizzate’: meglio levarle per scongiurare il rischio Bia-ALCL?
Nel 2019 e poi di nuovo nel novembre del 2022 (con l’aggiornamento delle linee di indirizzo per il percorso diagnostico terapeutico assistenziale per il linfoma anaplastico a grandi cellule in pazienti con impianti protesici mammari) il nostro Ministero della Salute ha chiarito che, in assenza di sospetto clinico di Bia-Alcl, non c’è alcuna indicazione alla rimozione di alcun tipo di dispositivo già impiantato.
Alla luce dei dati attuali, dunque, in assenza di sintomi e di diagnosi di Bia-Alcl, le autorità competenti italiane e non solo (Stati Uniti e Australia, per esempio) non prevedono né consigliano la rimozione profilattica delle protesi mammarie di tipo testurizzato impiantate** per prevenire il rischio sviluppare un Bia-Alcl, magari per sostituirle con protesi lisce (i dati attualmente raccolti suggeriscono che il rischio di Bia-Alcl sia inferiore con protesi lisce rispetto a quelle testurizzate ma le informazioni a disposizione nei registri di protesi e di malattia non sono sufficienti oppure sono lacunosi e non permettono di trarre conclusioni definitive).
Le probabilità di sviluppare questa forma di tumore sono estremamente basse e nella maggior parte dei casi il Bia-Alcl è curabile, con una prognosi molto buona, soprattutto se diagnosticato precocemente.
Per questi motivi al momento non si ritiene che il rischio di Bia-Alcl giustifichi il ricorso a un intervento chirurgico di rimozione e a uno di sostituzione.
Più esplicitamente, le autorità ritengono che il rischio di sviluppare Bia-Alcl sia inferiore ai rischi associati all’anestesia e all’intervento chirurgico, anche perché il tasso di complicanze si alza a ogni procedura di revisione.
Cosa fare per stare tranquille?
In assenza di sintomi o di altre complicazioni, l’indicazione ufficiale è di attenersi a un piano di controlli periodici.
Per le donne che hanno avuto un impianto mammario per motivi ricostruttivi, vige il regime di check-up concordato col proprio medico, con controlli strumentali e visite specialistiche cadenzati secondo il proprio piano di cura.
Per le donne operate a fini estetici, invece, si consiglia (oltre all’autopalpazione mensile) di effettuare controlli ecografici annuali a cominciare dall’anno successivo all’impianto, e indipendentemente dall’età (quindi anche donne giovani che non rientrano ancora nei programmi di screening per tumore al seno).
Al momento opportuno, cioè alla fine della vita delle protesi (in media attorno agli 8 anni secondo il report “fase pilota” del Registro Nazionale degli impianti protesici mammari) oppure in caso di contrattura capsulare o di revisione estetica, sarà possibile valutare con il proprio chirurgo le opzioni migliori per la sostituzione dei dispositivi.

Che cos’è il linfoma anaplastico a grandi cellule associato all’impianto mammario (Bia-Alcl)?
L’aggiornamento delle linee di indirizzo per il percorso diagnostico terapeutico assistenziale per il linfoma anaplastico a grandi cellule in pazienti con impianti protesici mammari del 29 novembre 2022 definisce innanzitutto la malattia, i sintomi ed esplicita l’iter di diagnosi e trattamento.
Il linfoma anaplastico a grandi cellule associato all’impianto mammario (Breast Implant-Associated Anaplastic Large Cell Lymphoma, Bia-Alcl) è una forma di tumore molto rara di linfoma non-Hodgkin (un tipo di cancro delle cellule T o B del sistema immunitario) che origina nel fluido o nel tessuto cicatriziale che si forma attorno alle protesi, e che in alcuni casi può diffondersi in altre regioni dell’organismo.
Quali sono i sintomi del Bia-Alcl?
I sintomi che devono far pensare a un sospetto di Bia-Alcl sono diversi. Tra i principali ci sono l’aumento di volume e la tensione mammaria a causa dell’accumulo di liquido linfatico nell’area attorno alla protesi (che non è dovuto a un trauma o a un’infezione) ad almeno un anno di distanza dall’intervento chirurgico* (in gergo clinico si parla di sieroma peri-protesico tardivo). Ci possono anche essere rossore e infiammazione persistente, la presenza di una massa o di dolore nella regione dell’impianto, l’ingrossamento dei linfonodi ascellari. Più raramente si possono presentare una deformazione della mammella dovuta a una contrattura capsulare (di Baker IV) e ulcerazioni cutanee. I sintomi sono più frequentemente monolaterali, cioè interessano una sola mammella.
Un qualsiasi cambiamento o anomalia al seno a distanza di tempo dall’impianto delle protesi deve essere tempestivamente segnalato al proprio specialista, che, nel caso lo ritenga opportuno, darà indicazione per effettuare controlli più approfonditi come ecografia mammaria e ascellare, a cui possono seguire una risonanza magnetica e/o una tomografia computerizzata associata ad emissione di positroni (TC/PET). In presenza di sieroma tardivo, inoltre, deve essere effettuata un’agoaspirazione eco-guidata effettuata in una adeguata struttura sanitaria o in una Breast Unit.
Come si cura il Bia-Alcl?
Se le indagini confermano il sospetto diagnostico, le indicazioni ministeriali prevedono che il paziente venga indirizzato alla Breast Unit di riferimento per una presa in carico multidisciplinare e il trattamento disegnato sulla base dello stadio di malattia. La prognosi, in genere, è molto buona, soprattutto se la malattia è stata individuata in stadio precoce. In sintesi, se il Bia-Alcl è localizzato, si procede alla rimozione chirurgica delle protesi, dell’intera capsula periprotesica e di tutto il tessuto eventualmente infiltrato dal tumore. Nel caso in cui anche i linfonodi siano stati interessati o siano presenti metastasi, è richiesta una terapia sistemica (chemioterapia, immunoterapia).
Dopo l’asportazione delle protesi non è indicato sostituirle con alcun altro dispositivo ma si può invece effettuare una ricostruzione mammaria con il proprio tessuto autologo. Devono infine essere eseguiti controlli di follow-up ogni 3-6 mesi per i primi due anni e controlli annuali fino a 5 anni.

Quali sono le cause del linfoma Bia-Alcl:
La frequenza così bassa, mancano dati sufficienti e anche l’assenza di uniformità nei dati raccolti fino ad oggi non consente di formulare ipotesi causali specifiche. Esistono diverse teorie, nessuna confermata, anche perché servirebbero valutazioni del rischio per ogni diverso tipo di impianto (non tutte le protesi testurizzate sono uguali, né vengono prodotte allo stesso modo; oltretutto alcuni tipi di texture offrono benefici sotto altri fronti.
È inoltre in corso anche uno studio genetico, diretto dal nostro Ministero della Salute, per capire come mai, a fronte di identiche tipologie di protesi mammarie, alcune pazienti sviluppino questa condizione clinica mentre
altre no.
Alla luce di ciò, gli esperti sottolineano che se l’incidenza di Bia-Alcl in un periodo di osservazione di 10 anni è di 5 casi su 10 mila pazienti, il dato non corrisponde al rischio individuale. Ciascuna persona, infatti, ha dei fattori di rischio che amplificano o comprimono la probabilità di sviluppare un linfoma collegato alle protesi mammarie che ad oggi non sono stati identificati. Da qui la necessità del registro nazionale delle protesi, da poco istituito.
* I dati italiani del progetto pilota del registro nazionale delle protesi mammarie indicano 7,7 anni come tempo medio di insorgenza dei sintomi del Bia-Alcl dopo l’impianto delle protesi.
** L’opzione della rimozione profilattica e della sostituzione delle protesi non è prevista nemmeno per coloro che hanno ricevuto le protesi macrotesturizzate Allergan, ritirate dal mercato.