Avanza negli Stati Uniti il movimento ‘Going Flat’ che riunisce donne che, dopo l’asportazione della mammella a causa di un tumore, non si sottopone alla ricostruzione del seno restando piatta. Fra timori, perplessità, mancanza di colloquio con gli specialisti e sacrosante ragioni personali ecco cosa pensano le pazienti italiane. Ce lo racconta Roy De Vita, primario della Divisione di Chirurgia Plastica dell’Istituto dei Tumori di Roma Regina Elena.
In America il trend Going Flat della rinuncia alla ricostruzione del seno è un fenomeno nascente. In Italia i dati attestano che a circa 1 donna su 8 viene diagnosticato il tumore del seno. Quasi il 30% si sottopone a una mastectomia o all’asportazione di buona parte del seno e alla metà di questa percentuale si effettua immediatamente – cioè contemporaneamente all’intervento chirurgico – la ricostruzione. E il restante 50% rinuncia a riavere subito il proprio seno.
Quanto tale decisione è frutto di una scelta personale e consapevole e quanto invece è dovuta a timori e dubbi sul tipo di operazione? In quante di queste donne l’operazione viene posticipata dagli stessi chirurghi oncologi procrastinando così anche la possibilità di un recupero ottimale?
Lo chiediamo a Roy de Vita, primario della Divisione di Chirurgia Plastica dell’Istituto dei Tumori di Roma Regina Elena.
Quasi mai. Può accadere per le donne di età avanzata o che una paziente già sottoposta alla ricostruzione, avendo avuto problemi, scelga di non sottoporsi a un secondo intervento nel caso abbia una recidiva. Invece non conosco donne che abbiano rinunciato a questo intervento a priori, cioè senza aver avuto delle esperienze negative passate. In ogni caso, parliamo di una fetta di popolazione molto ristretta perché se consideriamo le donne che ricevono una diagnosi di tumore al seno, quasi l’80% è sottoposto a un intervento di tipo conservativo e quindi non ha bisogno di un intervento ricostruttivo. Lo studio americano però mette in luce come elemento decisivo della rinuncia ad avere si nuovo il proprio seno la paura dell’intervento di chirurgia plastica e le possibili complicanze legate a esso. Questo però spesso significa che queste pazienti non sono state informate correttamente dal chirurgo che infine decide per loro.
Se l’intervento viene effettato in un centro di eccellenza, in un’unica volta si effettua sia la demolizione che la ricostruzione. Quindi non c’è alcuna necessità di sottoporsi a una serie infinita di operazioni, come spesso si pensa. Sebbene possa accadere che la donna al momento dell’intervento oncologico non si senta pronta a ricostruire il suo corpo, possiamo dire che oggi la ricostruzione immediata è routine.
Assolutamente no. Questa è una credenza del tutto infondata. L’uso di protesi non altera l’efficacia di alcuna terapia oncologica, così come la ricostruzione senza dispositivi non ha alcuna influenza sul percorso di cura. Per esempio, ci si può sottoporre tranquillamente alla radioterapia. Infine ci sono anche altre tecniche operatorie per ricostruire il seno senza uso di protesi. Le opzioni sono molte e andrebbero indagate a fondo, pro e contro incluso, con le pazienti.
L’impianto mammario permette di eseguire qualsiasi tipo di indagine necessaria per il follow-up oncologico. Pensare che le protesi possano danneggiarsi con la mammografia o nascondere eventuali tumori è un timore che non è supportato da alcun dato scientifico. E avere un impianto mammario non aumenta il rischio di tumore al seno, così come non aumenta in alcun modo il rischio di recidiva. Ciò che è importante, però, è continuare a eseguire tutti i controlli regolarmente.
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È un concetto assolutamente falso. Innanzitutto, il termine ‘rigetto’ è sbagliato perché non può esistere rigetto con un materiale inerte come la protesi. Ci possono essere delle complicanze, questo è vero. Per esempio, la più importante è la contrattura capsulare cioè l’indurimento del tessuto mammario intorno alla protesi. Può essere di vario grado e nei casi gravi è richiesta la sostituzione dell’impianto. Il rigetto invece si può avere solo nei confronti di tessuto organico e non è questo il caso.
Chi riceve una diagnosi di tumore vive una situazione innegabilmente delicata e ha il diritto di fare la propria scelta secondo il suo desiderio. Noi medici però abbiamo il dovere di informare correttamente la paziente per offrirle tutti gli strumenti così da arrivare a una scelta sì libera, ma davvero consapevole. Che la paziente abbia il diritto di conoscere in modo completo i vantaggi, ma anche gli eventuali limiti di questo intervento, è fuori discussione. I dubbi sono leciti, così come la paura e la confusione, ma credo che l’improvvisa trasformazione del proprio corpo abbia un forte impatto sulla percezione che ognuno ha di sé e la ricostruzione del seno è un intervento che riesce a dare risultati straordinari. Va sottolineato sempre che gli interventi vanno personalizzati in base alle caratteristiche di ciascuna donna e, per questo, il dialogo con il medico è di fondamentale importanza.
Barbara Amadori, insegnante di sostegno, laureata all’Accademia di Belle Arti di Urbino e da sempre appassionata di arte contemporanea, nel 2019 ha ricevuto la diagnosi di tumore al seno. Durante il percorso di cura ha sentito il bisogno di comunicare attraverso il linguaggio dell’arte la malattia. L’abbiamo intervistata per farci raccontare come è nata l’idea, e come è stata realizzata, della mostra ‘Arte come cura’ inaugurata a Città di Castello (Umbria) il marzo scorso ma che tornerà dal 7 al 29 maggio al Museo Casa Cajani di Gualdo Tadino. La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione con l’Aacc – Associazione Altotevere contro il cancro. Nella photo-gallery alcune opere delle 15 artiste che hanno partecipato.
Non solo l’affollamento di foto del ‘prima e del dopo’ intervento sui social. Beauty advisor, skin-influencer, decessi, denunce e filler iniettati online dal bagno di casa complicano il quadro. La fotografia di come la chirurgia estetica corre sui social in Italia e di quanto ci sia bisogno di una informazione più puntuale è delineata in occasione della tavola rotonda ‘L’autorevolezza social: like e curriculum a confronto’ mirata all’informazione come servizio che va oltre la pubblicità, in corso oggi a Sorrento in occasione del 9° congresso nazionale di Aicpe, Associazione italiana chirurgia plastica ed estetica. La tavola rotonda è a cura di ManiSulCuore.it
Una tavola rotonda a cura di Mani Sul Cuore nell’ambito del 9 Congresso AICPE, il 23 Aprile 2022 alle 14.30 a Sorrento, Hilton Sorrento Palace, Sala Plenaria Auditorium Sirene.
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