Ridisegnare areola e capezzolo, asportati o alterati da un intervento chirurgico come la mastectomia , è possibile con i cosiddetti tatuaggi medicali e la dermopigmentazione. Cosa sono e che risultati garantiscono? Sono diversi dai tattoo estetici? A chi rivolgersi? Il Ministero della Salute se ne è occupato recentemente escludendo tatuatori ed estetiste dal poterli realizzare, ma il Consiglio di Stato ha di nuovo mescolato le carte.
Ripercorriamo l’iter legislativo e rispondiamo ai moltissimi dubbi che ci inviate su questo tema con le interviste a Barbara Cagli, chirurga plastica presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma e a Francesco Palmese, permanent makeup artist specializzato in dermopigmentazione.
Il termine dermopigmentazione indica generalmente i tatuaggi medicali. Cosa significa?
La procedura è molto simile a quella del tatuaggio artistico, la differenza è che questa tecnica viene eseguita per coprire alcune condizioni patologiche della pelle o come complemento degli interventi di chirurgia ricostruttiva del seno.
“I pigmenti utilizzati – spiega Francesco Palmese, esperto nel campo del trucco permanente e tattoo, con studio a Roma, – sono quelli specifici per il permanent make up e devono rispettare precise norme europee.
Contengono molecole ancora più piccole rispetto ai pigmenti solitamente usati per i tatuaggi artistici e sono scelti con estrema attenzione. I pigmenti vanno depositati al di sotto dell’epidermide, cioè sotto lo strato della pelle che noi vediamo.
L’ago, infatti, non deve arrivare in profondità, ma rimanere sullo strato superficiale del derma, ovvero lo strato germinativo basale”.
Precisa Palmese: “Per quanto riguarda la pigmentazione del complesso areola-capezzolo io ho messo a punto una tecnica che si chiama touch”.
“Insieme alla cliente valutiamo la scelta del colore in base al tipo di pelle e, attraverso una combinazione di nuances, ombre e luci, creo un effetto tridimensionale e quindi un’illusione ottica della areola mammaria con un risultato molto realistico”.
Il trattamento si esegue in una seduta e dopo circa un mese e mezzo viene effettuato il perfezionamento: per uno-due anni rimane stabile, dopodiché vanno fatti dei ritocchi periodici perché si tratta di un tattoo più superficiale.
“In realtà non ci sono rischi ulteriori, – precisa l’esperto. – Con o senza le protesi il rischio più comune è che possa comparire un’infezione post intervento.
“Seguendo scrupolosamente piccole accortezze, – spiega Palmese. – Per esempio, appena fatto il tattoo la pelle non deve stare a contatto con agenti esterni e bisogna evitare di farsi la doccia per qualche giorno. Evitare ancora di frequentare palestre o saune, cioè tutti quei luoghi che possono essere veicolo di infezioni.
Sottolinea Francesco Palmese: “Io chiedo sempre una delega del medico per effettuare un tatuaggio estetico, anche dall’equipe della Breast Unit che ha eseguito l’intervento”.
Il ‘tatuaggio con finalità medica’ era stato regolamentato nel 2019 dal Ministero della Salute con una circolare che, seppure avesse l’intento di proteggere le donne da eventuali rischi o errori, ha creato un po’ di confusione, molte donne hanno rinunciato e alcune categorie professionali hanno reclamato. Così le cose sono state di nuovo modificate recentemente.
Cosa aveva deciso il Ministero?
Il 15 maggio del 2019 il Ministero della Salute ha emanato una circolare, la DGPRE 14138, per fornire chiarimenti in merito alla pigmentazione dell’areola-capezzolo.
La norma escludeva i tatuatori e le estetiste dal disegnare questa parte delicata del corpo precisando che fossero invece medici e operatori sanitari a occuparsene.
“Ma questo avviene raramente, – commenta Barbara Cagli, chirurgo plastico del Policlinico universitario Campus Biomedico di Roma. – La situazione è infatti frammentata e dipende da ogni singola Breast Unit. Ci sono infatti chirurghi che completano la ricostruzione con la dermo-pigmentazione, come nel mio caso, ma nella maggior parte delle volte questa procedura non viene eseguita dal chirurgo. E le donne vengono inviate a centri esterni, se interessate”.
C’è poi tutta la questione del rimborso, nel caso in cui la dermopigmentazione venga effettuata in ospedale così come dice la legge.
Le Regioni scelgono di rimborsare anche cifre insufficienti, come spiega Cagli: “Nella regione Lazio, per esempio, il rimborso è di soli 9 euro, quindi assolutamente insufficiente per coprire le spese dei materiali necessari per eseguire la dermo-pigmentazione.
Sicuramente è un settore che deve essere regolamentato in modo chiaro anche per evitare che questo genere di trattamenti venga svolto da chi non ha una preparazione specifica ma andrebbe comunque implementato il servizio oltre che considerato a tutti gli effetti parte integrante del percorso di cura nella ricostruzione mammaria”.
A fronte della decisione del ministero della Salute, nel 2020 Confestetica, l’associazione rappresentativa degli estetisti, ha fatto ricorso e il 18 giugno 2021 il Consiglio di Stato ha annullato la Nota Circolare del Ministero della Salute con una sentenza. Il ricorso delle estetiste, infatti, è stato considerato valido.
L’Istituto Superiore di Sanità, in qualità di organo verificatore nominato dal Consiglio di Stato, ha affermato che la dermopigmentazione non può essere assimilata a un trattamento terapeutico.
Inoltre, è stato specificato che la competenza maggiore appartiene agli estetisti, anche se, in alcune circostanze – per esempio nel caso di interventi chirurgici o situazioni particolari di tessuti – è richiesto il parere del medico specialista.
E, si legge, “allo stato, non sussistono altre figure professionali adeguate”.
Dunque di nuovo semaforo verde alle dermopigmentazioni effettuate al di fuori delle strutture sanitarie ma, pare, semaforo rosso ancora rivolto ai tatuatori.
Inevitabile la replica di questa categoria che domanda: “se il tatuatore conosce la tecnica della dermopigmentazione e spesso svolge lui stesso corsi di formazione per le estetiste su questo tema, come mai non può utilizzare lui stesso la tecnica per la zona areola-capezzolo? Perché questa attività dovrebbe essere una competenza esclusiva della professione di estetista, se si tratta di un tatuaggio?”
La questione rimane ancora aperta.
“Il mio desiderio – afferma Barbara Cagli – è che in ogni Breast Unit fosse presente una figura specializzata nella dermopigmentazione in modo tale da poter avere una consulenza specifica. Così, il medico valuterebbe la possibilità di eseguire la procedura sulla donna che ha subito la ricostruzione e lo specialista potrebbe effettuare il tatuaggio.
L’obiettivo, infatti, è che questa tecnica entri a far parte a tutti gli effetti del percorso di cura.
Non deve essere considerata come qualcosa di più perché l’intervento di ricostruzione, inclusa la dermopigmentazione areola-capezzolo, ha un impatto significativo sulla vita e sul benessere piscologico della donna”.
Ovviamente sappiamo che non tutte le donne, dopo un intervento di mastectomia, scelgono di ricostruire il seno e questa è un’opzione legittima che va presa in considerazione.
Al di là delle motivazioni che possono essere svariate, anche in questi casi non sono poche le donne che scelgono di coprire la zona operata con un tatuaggio, nascondendo le cicatrici.
“In questo caso – afferma Palmese – parliamo di tattoo estetici e artistici post-mastectomia, non più di tatuaggi medicali.
A distanza di tempo dall’intervento, quindi quando le cicatrici dell’intervento chirurgico sono completamente guarite, si può tranquillamente eseguire il decoro, scegliendo il preferito e sempre con le dovute attenzioni”.
Barbara Amadori, insegnante di sostegno, laureata all’Accademia di Belle Arti di Urbino e da sempre appassionata di arte contemporanea, nel 2019 ha ricevuto la diagnosi di tumore al seno. Durante il percorso di cura ha sentito il bisogno di comunicare attraverso il linguaggio dell’arte la malattia. L’abbiamo intervistata per farci raccontare come è nata l’idea, e come è stata realizzata, della mostra ‘Arte come cura’ inaugurata a Città di Castello (Umbria) il marzo scorso ma che tornerà dal 7 al 29 maggio al Museo Casa Cajani di Gualdo Tadino. La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione con l’Aacc – Associazione Altotevere contro il cancro. Nella photo-gallery alcune opere delle 15 artiste che hanno partecipato.
Non solo l’affollamento di foto del ‘prima e del dopo’ intervento sui social. Beauty advisor, skin-influencer, decessi, denunce e filler iniettati online dal bagno di casa complicano il quadro. La fotografia di come la chirurgia estetica corre sui social in Italia e di quanto ci sia bisogno di una informazione più puntuale è delineata in occasione della tavola rotonda ‘L’autorevolezza social: like e curriculum a confronto’ mirata all’informazione come servizio che va oltre la pubblicità, in corso oggi a Sorrento in occasione del 9° congresso nazionale di Aicpe, Associazione italiana chirurgia plastica ed estetica. La tavola rotonda è a cura di ManiSulCuore.it
Una tavola rotonda a cura di Mani Sul Cuore nell’ambito del 9 Congresso AICPE, il 23 Aprile 2022 alle 14.30 a Sorrento, Hilton Sorrento Palace, Sala Plenaria Auditorium Sirene.
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